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    Un anno a Torino. Storia di un incontro a più stagioni

    Oltre a essere la mia città, Torino è anche la mia casa. E come ogni casa contiene un ingresso, la stazione di Porta Nuova, una cucina, il mercato di Porta Palazzo, un bagno, il Po, e poi naturalmente il salotto di Piazza San Carlo, e quel terrazzo che è il Parco del Valentino, e il ripostiglio del Balon, e una quantità di altre cose e di altre storie.

    Giuseppe Culicchia

    

    Torino è la terza città in cui provo a sentirmi a casa. Dopo Genova e Milano, Torino mi era sembrata la via di mezzo tra un paese troppo grande e uno stato troppo piccolo. Torino non si fingeva né paese né stato, preferiva essere quella che era, o che si diceva che fosse. Questa è la storia del nostro incontro e del nostro primo anno insieme. Un incontro vissuto in più tempi, un susseguirsi di stagioni che hanno richiesto un avvicendarsi di esperienze, colori, appartenenze diverse, spesso ambigue, nell’eco delle parole di Giuseppe Culicchia.

    

    Autunno

    
    Il Valentino in autunno (foto di Milena Fantoni)

    Sono uscita dall’ingresso di Porta Nuova, ritrovandomi in un’aria inconsueta. Sono abituata alla brezza salina, umida, al vento tagliente della costa, mentre quell’atmosfera era decisa e indecisa, due volti, espressioni senza esitazioni. Torino è montagna, è pianura, è Alpi, è Po, è brich e piana. E la piana mi ha circondato del colore della stagione che più le appartiene: l’autunno. Torino, in autunno, è e non è e io, insieme a lei, mi sono concessa l’ambiguità della stagione e mi sono presentata alla nuova casa. Ho comprato una bici e mi sono fiondata lungo i viali e controviali alberati che caratterizzano la città. Le foglie, di un color a metà tra il giallo e l’arancio, hanno disegnato la strada al mio primo incontro: il Parco del Valentino. La terrazza di cui parla Culicchia, lungo il bagno che è il Po, il Valentino è lo specchio del passare delle stagioni nella piana. A Torino l’autunno arriva quando il Valentino si tinge di giallo e l’erba si nasconde sotto l’accartocciarsi delle foglie. Ho biciclettato immersa nel giallo, il mio colore preferito, e guardandomi attorno ho imparato a conoscere nuovi volti. Il Borgo Medievale è tra questi, un piccolo borgo costruito nel 1884 in occasione dell’Esposizione Internazionale, con quel tocco di nostalgia del passato che con l’autunno va a braccetto.

    
    Borgo Medievale (foto di Giuseppina Steduto)

    Un altro volto è stato quello del quartiere che separa la mia terrazza dall’ingresso, San Salvario. Il quartiere, in continua sfida con quello di Santa Giulia per la vita notturna, oltre a locali etnici, pub, rhumerie, bistrot e trattorie, oltre al mercato rionale di piazza Madama Cristina, il colore di San Salvario per me si tinge di note jazz and blues. Il mio incontro, infatti, è stato proprio in uno dei molti locali jazz della zona, il Jazz Club Torino, in piazza Valdo Fusi.

    

    Pausa caffè

    Fuorisede, aspirante scrittrice, universitaria a tempo pieno, il caffè è d’obbligo. La pausa caffè è un momento rituale, il tempo giustificato per poter non far altro che sorseggiare un espresso, caldo o freddo, macchiato o lungo, a seconda di gusti e stagioni. Mi sono messa alla ricerca del luogo perfetto e ho conosciuto la mia pasticceria preferita: cappuccino e brioche vegana al miele da Berlicabarbis potrebbe diventare il mio «Il solito». Una volta sono andata con una mia amica da Roses & Tea, un caffè le cui pareti sono tappezzate di rose di tutte le tipologie e sfumature. Un altro è il Caffè al Bicerin, un locale che risale al 1763, in cui ho provato il famoso bicerin, tipica bevanda calda torinese a base di cioccolato e crema al latte, e meta di personaggi come Puccini, Nietzsche, Guido Gozzano e Italo Cavino. Sempre attratta dal diverso, la Farmacia del Cambio è un bistrot allestito nella ex Farmacia Bestente, fondata nel 1833 in Piazza Carignano. Ancora, il Convitto Caffè, a metà tra bistrot, jazz club e cafè parigino. Da pseudoscrittrice, non ho mancato di visitare il bar preferito di Cesare Pavese, il Caffè Elena, in Piazza Vittorio. Ovviamente con penna e taccuino (non ho scritto niente). Infine, alla domenica associo P^I Bikery, un’officina meccanica che si definisce fast bikes & slow food.

    

    Inverno

    
    Il Valentino in inverno (foto di Dario Fusaro)

    Sono tornata di sfuggita in terrazzo, a guardare le foglie del Valentino: non c’erano più. I rami secchi, il terreno bruno mi hanno confermato il cambio di stagione e così la mia nuova appartenenza: l’inverno. Precisamente l’inverno del brich. E sul brich ci sono voluta salire (o qualcosa che si avvicinasse). Ho parcheggiato la bicicletta lungo il Po e ho attraversato il fiume, lasciandomi alle spalle Piazza Vittorio. Direzione Monte dei Cappuccini, dal nome del convento che lì si staglia, costruito nel XVII secolo e oggi $ Museo Nazionale della Montagna$ . Ho camminato e, una volta arrivata, ho conosciuto uno dei miei panorami preferiti: le Alpi innevate. Un altro luogo in cui ammirare il mio panorama preferito è Superga, dove si trova la Basilica (del 1715), raggiungibile con un tranvia. Lì la vista si allarga e si perde nell’orizzonte. Proprio come il mare. Proprio come la mia prima casa.

    
    Basilica di Superga (foto di Federico Pontrandolfo)

    Ci sarei potuta stare tutto il giorno ma a Torino, d’inverno, si arriva a meno zero e quindi sono ridiscesa verso la piana, andando incontro a una di quelle appartenenze che caratterizzano tutte le mie case: le librerie indipendenti. Ambiente perfetto per rintanarsi dal freddo, spazio dei sogni per lettrici e compratrici compulsive. E così sono andata incontro alla prima, la Libreria Luxemburg, vicino a Piazza Castello e non lontano dal Circolo dei Lettori, perfetto binomio all’insegna di cultura e letteratura. E persino un altro bicerìn. Scendendo a valle, l’Asino d’Oro e La Bussola, librerie dell’usato in cui scovare antiche edizioni fuori catalogo. Persino camminando lungo via Po ho spulciato bancherelle stracolme di libri. Infine, la mia preferita: Libra, in Santa Giulia. Libra è il luogo che mi ha insegnato a connettere i libri alle storie, alle persone. Uscendo da Santa Giulia, mi sono reindirizzata verso nuovi incontri, accompagnata dalla musica lirica che tutte le sere riecheggia in Via Verdi dal Teatro Regio, in un’atmosfera vagamente parigina. Avvicinandomi al salotto di casa, non lontano dal Museo Egizio, si trova il Circolo dei Lettori, luogo ambito per lettori, scrittori, intellettuali, bevitori, caffeinomani, amanti del buono e cattivo gusto, insomma, per chiunque si voglia perdere tra libri, caffè o incontri sulle ultime uscite letterarie. Dopotutto, Torino è casa di grandi scrittori, da Cesare Pavese a Primo Levi, da Natalia Ginzburg a Luigi Einaudi, città in cui io stessa mi sono trasferita per scrivere.

    

    Pausa pranzo e cena

    Pranzo o cena, la zona più importante nelle mie case è la cucina. Cibo tipico, locale, Km0, regionale.

    Appena arrivata, ho chiesto in giro locali in cui «assaporare la tradizione»: in San Salvario ho scoperto Scannabue, una trattoria a metà tra l’easy e lo chic, dove ho conosciuto il dolce tipico di Torino, il bunet. A Borgo Dora la Trattoria Valenza, una delle prime trattorie a cui mi sono sentita di appartenere. Gli agnolotti lì sono il mio piatto. Di fronte, l'Osteria del Balòn, il locale che mi ha fatto innamorare della guancia brasata. La ordino in tutti ristoranti oramai, alla ricerca di quel sapore. Non l’ho ancora ritrovato. In IV marzo, punto di riferimento per chi ama il buon cibo ma non ha una lira, è Cianci, trattoria frenetica in cui c’è sempre spazio per un tajarin. Poco tempo fa mi sono concessa di conoscere un posto che mi ha sorpreso: il M**Bun è un FastSlowFood, come il McDonald, ma piemontese, e Slow. Il Padellino, la pizza in tegamino, invece è ancora da provare. Al Mercato Centrale, nel cuore della cucina di Porta Palazzo, una volta mi sono sfamata a furia di assaggini (buonissimi). Alla Taberna Libraria, accanto al Circolo dei Lettori, ho mangiato il tortino al cuore caldo di pistacchio più buono della mia vita. Ah, ultimissimo: 51 Manifattura Alimentare, sulla Dora, è un ottimo connubio tra buon cibo e ambiente easy.

    

    Primavera

    
    Il Valentino in primavera (foto di Sguardo nel Verde)

    Ho spazzato via le ultime foglie in terrazzo e ho ammirato i rami riprendere colore. Quello con la primavera di Torino è stato un incontro non organizzato, casuale, ma di impatto. Perché se l’inverno mi aveva fatto conoscere il dolore pulsante del freddo, la primavera mi ha ricordato la delicatezza del primo caldo. Ho ripreso la bicicletta e ho ricominciato a pedalare. Al centro del Valentino, tra tovaglie, chitarre e slack line, il volto dell’Imbarchino, uno dei primi zattera-bar che ho conosciuto: un locale livello-fiume che con le piogge si fa travolgere e poi lentamente si ricrea dopo la tempesta. Una bella metafora? O incredibile ostinazione? In primavera (e in estate) ci vado a studiare, a ballare, ad ascoltare musica, a mangiare, a bere, tra i tavoli sparsi a tutti i piani, sul pelo dell’acqua o accanto al prato, su comodi divanetti o sedie da spiaggia. È la stagione delle persone raggruppate qua e là per i parchi della città, ognuno adibito al suo scopo: ai Giardini reali, ad esempio, mi sono spesso trovata a leggere l’ennesimo libro comprato da Libra (lì vicino); al Parco Dora ho giocato a calcetto; nelle sere di fine primavera, all’altro lato del Po, mi sono goduta l’ultimo sole. Soprattutto con la primavera mi è tornato il desiderio del movimento. Abbandonato il tepore soporifero degli interni, mi sono rimessa a gironzolare nella mia nuova casa, ritrovandomi prima in cucina, al mercato rionale e contadino, e poi in Borgo Dora. Proprio lì si trova la Scuola Holden, scuola di scrittura creativa fondata da Alessandro Baricco. Ho passato le sere a scrivere e bere, insieme ai miei compagni, nei bar lungo i piccoli vialetti. Ed è lì che, ogni sabato, le strade si trasformano nel grandissimo mercato vintage che è il Balon, il ripostiglio della mia metaforica casa. La prima volta ne sono rimasta incantata: tavoli, stendini e tappeti esponevano gli oggetti più disparati, dall’abbigliamento agli utensili da cucina, dai cappelli ai libri. Qualsiasi cosa. Ne esco ovviamente con un libro.

    
    Mercato del Balon (davanti) e Scuola Holden (dietro) [foto della galleria di Balon.it)

    E con un libro si è conclusa anche la mia prima primavera: ho preso la metro direzione Lingotto dove, alla fine di maggio, ogni anno si tiene il Salone del Libro. Non avevo mai partecipato prima del mio trasferimento e il mio incontro con il Salone è diventato un appuntamento fisso. E non solo il mio.

    

    Pausa aperitivo

    Nella mia prima primavera torinese, in attesa di un venerdì sera, ogni quartiere è stata l’occasione per un incontro con un locale e un nuovo volto. In Santa Giulia, quella che potrebbe essere la mia sala da ballo, la mia prima bicicletta (una specie di Spritz con più vino e meno soda) l’ho provata da Carmen, un locale il cui nome è una garanzia, e la garanzia è la sua proprietaria, Carmen (da conoscere). Da Share Wood ho scoperto che un albero può crescere nel bel mezzo di un bar. Da Noor, seduta tra tavoli dal vago richiamo marocchino, ho spiluccato un tagliere piemontese. Balbo, per noi universitari, è stata salvezza, ormai meta quasi turistica per i veri non intenditori del vino raffinato, ma amanti della buona compagnia. In Vanchiglia, l’Off Topic è un hub culturale, crocevia di esperienza musicali, teatrali, letterarie e culinarie. In caso di pioggia, il nostro posto del cuore è Litro, un locale in galleria vicino a Porta Palazzo, dove a poco prezzo ci si auto-costruisce un aperitivo a base di litri e salami. Sempre nei dintorni, il Pastis, in piazza Emanuele Filiberto, incastrato tra altri baretti con i tavolini fuori, perfetti per la stagione. Vicino alla Scuola Holden, il Brocante e il Safarà sono stati i punti di riferimento degli aspiranti scrittori e scrittrici in preda a crisi di creazione, tra una birra, una baguette e una scacchiera. Alcune volte, invece dei soliti bar, mi sono concessa di perdermi tra i centri sociali: la Comala, perfetto centro per l’estate, l’Askatasuna, il Gabrio e il Bunker, centri questi in cui ogni settimana ho avuto l’occasione di conoscere colori e atmosfere diverse.

    

    Estate

    
    Il Valentino in estate (foto di Antonio Sessa)

    Il colore dell’estate, per una che viene dal mare, è il blu profondo e il bianco, colore dell’acqua salina e della schiuma delle onde che si infrangono sugli scogli. Ma nella mia nuova casa ho incontrato un nuovo volto, dal colore sfumato tra l’oliva brillante e il verde foresta. La mia ultima stagione è iniziata così, senza Alpi innevate, ma con i parchi affollati nel color pistacchio. Le slack line sono aumentate, le tovaglie a quadretti e le chitarre anche. Casse stereo sono spuntate qua e là a intonare balli improvvisati, e canoe remate lungo il Po da canottieri al ritmo di «Oh oh!». I Murazzi, al livello del fiume, sono il mio luogo dove concedermi una pausa lettura e, di sera, festeggiare: perfetto mutaforme tra giorno e notte. Vicino, nelle sere estive, mi sono concessa più volte di passare dalla Mole Antonelliana, la Lanterna di Genova versione Torino. Una volta dissi ai miei amici che ci sono tre cose che mi emozionano: la luna nascosta tra le nuvole nel cielo notturno (molto romantico), le Alpi innevate dal Monte dei Cappuccini (un classico) e la Mole colorata di luci fosforescenti la notte (cosa?). A nessuno piace, e in realtà neanche a me. Ma nonostante questo, ogni volta mi fermo, mi folgoro e fotografo. Al suo interno, si trova il Museo del Cinema, dove ho potuto conoscere l’intero iter e le fasi della creazione e produzione di un film. E immaginare me stessa farne uno.

    
    La Mole Antonelliana (foto di Milena Fantoni)
    

    Fuori porta

    
    Monviso (foto di Leonardo Barese)

    Torino è il brich ed è anche la piana, e la piana ospita molti centri da visitare in più occasioni. Durante il primo anno, la mia prima appartenenza è stata Alba, durante la Fiera Internazionale del Tartufo. Una visita alla fiera, con il calice al collo e gli assaggi agli stand, è un qualcosa che mi ha sempre messo allegria. L’allegria della festa, del cibo (tartufato) e del vino che nelle fiere e sagre si provano. Fuori porta è anche la mia seconda appartenenza, a contatto con il vero e proprio brich, il Monviso. Scout di nascita, ho preparato il mio zaino e sono partita, tenda e scarponi, alla volta di uno dei più famosi giri del Piemonte e delle Alpi, per tastare con i piedi, finalmente, quella catena innevata che dal Monte dei Cappuccini mi aveva tanto affascinato durante il mio primo anno che, ormai, sul finire di agosto, si è appena concluso.

    

    

    Autore: m.fantoni