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Napoli. Verso il terzo scudetto
Maradona ha rappresentato per Napoli qualcosa di molto importante: è stato il riscatto, il vanto della città. Quello che ha fatto lui a Napoli lo hanno fatto solo i Borboni e Masaniello.
(Pino Daniele)
Il Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta... Napule è mille culure, Napule è mille paure... Sai perché mi batte il corazòn, ho visto Maradona, ho visto Maradona e, mamà, innamorato son... Malatì malatì pe me tu si na malatì... Un giorno all’improvviso, mi innamorai di te. Il cuore mi batteva, non chiedermi perché…
Cammino tra le strade del centro storico di Napoli. Ovunque mi guardi riconosco il volto di Maradona, il colore della squadra del Napoli, e così le magliette, i murales, le statuette e le bandiere che invadono i vicoletti, persino lo spritz blu, a ricordare che oggi il Napoli è campione. Per la terza volta. Non riesco a non farmi una domanda, guardandomi attorno, contornata da tutto questo azzurro: se la mia squadra vincesse lo scudetto, la città festeggerebbe allo stesso modo? Sono venuta qui anche io, genovese, romanista, domiciliata a Torino, sono venuta fin dal Piemonte, per festeggiare il Napoli, la fine del Campionato, la vittoria della squadra di Maradona. Io, che di napoletano non ho niente, sono venuta per festeggiare, e festeggerò più di quanto avrei festeggiato la mia stessa squadra, che fosse il Torino, il Genoa o la Roma. Napoli è così. Non puoi che apprezzarla. Non puoi che volerle bene. Qualcuno ha persino detto “Vedi Napoli e poi muori”. Non può che essere così, penso. La partita finale, prima che il Napoli possa alzare la coppa, è programmata per domenica 4 giugno 2023, alle ore 18.30.
Ora che sono arrivata, può iniziare il conto alla rovescia.
-2 PALLA AL CENTRO
La mia attesa al gran verdetto è iniziata a Spaccanapoli, una strada che, per l'appunto, spacca Napoli in due metà, con la sua linea retta che inizia ai Quartieri Spagnoli fino alla Forcella. A metà di questa strada, a destra e a sinistra, ho potuto guardarla nel suo insieme e, mentre passeggiavo lungo questo viale caotico, fulcro del centro cittadino, sono sbucata nella Via dei Tribunali, la via del gusto e delle pizzerie. Non potevo che fermarmi, insieme ai miei compagni di viaggio, al primo stop culinario: da Di Matteo ho provato per la prima volta la frittatina di pasta, un qualcosa che ha l’apparenza di un assaggio, ma il cui peso mi ha fatto capire subito che di assaggio non ha niente. Un mix di pasta, besciamella prosciutto piselli e formaggio. Il mio primo giorno a Napoli è iniziato con il piede giusto, pesante, come solo la cucina napoletana sa fare.
Uno Spritz Maradona (gin e blu, a 3€ invece che 1€), e ci siamo rimessi in cammino. Passeggiare, letteralmente, vuol dire «Camminare lentamente» (dal latino passus), e i Napoletani la prendono alla lettera. Loro, infatti, non hanno fretta. E di cosa del resto? Anche io mi sono accompagnata e lasciata trasportare dal ritmo cittadino, quel giusto andamento che mi ha permesso di alzare gli occhi e di guardarmi intorno, in un districarsi di vie che mi hanno ricordato casa, ma la cui pienezza e sonorità mi hanno trasportato altrove. Siamo arrivati a Piazza del Gesù, accanto si trova il Chiostro di Santa Chiara. Entriamo. Un chiostro maiolicato, una griglia di mattonelle, pilastri in maioliche dipinte a mano e alberi da frutto.
Non lontano si trova anche la Cappella Sansevero, che conserva il Cristo velato: un velo di marmo riveste il corpo di Gesù, di cui si narra che in origine fosse di tessuto, trasformato poi in marmo grazie a un liquido inventato, appunto, dal principe di San Severo, famoso alchimista. Me lo ha raccontato la mia guida amica, purtroppo non siamo riusciti a vederlo (chi fosse interessato deve prenotare con molto anticipo). Siamo risaliti verso la Via dei Tribunali, passando per la Napoli sotterranea, un antico acquedotto scavato dai romani e usato poi, durante la Seconda guerra mondiale, come rifugio antiaereo, e siamo scesi verso Spaccanapoli prendendo via San Gregorio Armeno, la ‘via dei Presepi’. Una via in cui l’atmosfera natalizia non è ancora terminata. O è già iniziata. Abbiamo camminato lungo la via, schiacciati dai curiosi a guardare le statuette di ogni tipo, da quelle ‘religiose’ a quella più ‘ironiche’ (ovviamente c’era anche quella di Maradona). Abbiamo passato Mezzocannone, la via dell’Università (la più famosa e una delle più antiche d’Europa, la Federico II): qui ci saremmo tornati la sera, per ora abbiamo proseguito oltre, verso Via Toledo, la via dei negozi. Scendendo da Via Toledo si arriva, in pochi passi, lenti, passeggeri, verso il mare, il porto, e così le isole, l’orizzonte. Abbiamo attraversato Galleria Umberto I e costeggiato il Teatro San Carlo, uno dei più antichi d’Europa e più grandi d’Italia (risale al 1737). Attaccato (non bisogna neanche uscire per strada), Re Carlo di Borbone fece costruire il suo Palazzo Reale.
Il giorno in cui siamo arrivati, Piazza del Plebiscito, purtroppo, era OFF LIMITS. Abbiamo scoperto che in quei giorni, praticamente per una settimana, Gigi D’Alessio, per la non gioia di molti, soprattutto tassisti, soprattutto napoletani, aveva organizzato un concerto, invadendo le strade e la piazza centrale della città. Piazza del Plebiscito è un luogo simbolo, un tempo luogo di raccolta, di tornei, di ‘cuccagne’, oggi simbolo del Rinascimento napoletano. Avrei dovuto mettermi alla prova in una delle sfide napoletane, proprio lì: passare a occhi chiusi, bendata, tra le due statue equestri, camminando in linea retta. Dicono che nessuno ci riesce. E che tutti dicono di riuscirci. Fingendo anche io di farcela, e così attraversando la piazza, riprendendo la passeggiata, io e miei compagni siamo arrivati finalmente alla costa: dal Porticciolo Molosiglio ho visto l'edificio che si finge carcere nella serie tv napoletana Mare Fuori. Infatti, pur trattandosi nella finzione dell’IPM (Istituto Penitenziario Minorile), la serie è girata alla base navale della marina militare, sul Molo San Vincenzo (è l’edificio rosso). Chissà se stavano girando in quel momento. Lasciandolo alle mie spalle, davanti a me si è poi stagliato, dall’isolotto di Megaride, il Castel dell’Ovo, castello dalle molte leggende, insieme al Maschio Angioino. Ma quello che mi ha colpito più di tutto non poteva che essere lui: dopo Spaccanapoli, dopo la frittatina, dopo il chiostro, le statuette, Mare Fuori, arrivata alla costa, l’ho visto. Il Vesuvio. Era davvero vicino. E lo sarebbe stato per il resto della giornata.
Sono arrivate le sei e la giornata si è presto accorciata. Il centro della città si è srotolato di fronte a noi per poi ricacciarci sul lungo mare, il Caracciolo, a goderci le ultime luci prima di tornare a casa, e prima di riuscire, pronti per la sera, la sera napoletana.
Piazza della Carità, davanti alla Pignasecca, mi ha fatto precipitare direttamente nel centro della sera e della festa napoletana. Ci siamo ritrovati, ancora una volta, nel centro storico di Napoli, ancora una volta a Mezzocannone. Qui, in un via vai di persone e locali, si trova Tandem Ragù (uno dei tanti, l'unico d'asporto), un locale dove il ragù si riversa in tutte le pietanze, nelle polpette, nella pasta, nel panino o così com'è. Davanti, una poesia napoletana sul ragù, quello vero (N.B il ragù napoletano è molto diverso da quello bolognese), e i dieci comandamenti, ovviamente sul ragù. La mia guida mi ha consigliato la genovese, che di genovese, per una genovese come me, non ha proprio niente. Genovese, a Napoli, è il piatto di cipolle cotte in padelle e caramellate. Alcune leggende raccontano che il nome deriva dal carico di cipolle che ha inventato il piatto. Il carico, dicono, veniva da Genova. Per non perdermi niente mi sono presa non la pasta alla genovese ma un piatto che aveva tutta l’aria e il nome di Napoli: il cuzzietello. Ancora una volta la cucina napoletana non si è smentita, la sua pesantezza soddisfatta è rimasta e me la sono portata, dopo, in giro per il centro, a festeggiare la mia prima sera.
Abbiamo ripreso il cammino, alcuni hanno preso un drink, altri si guardavano in giro. Poco più in là, lasciato Mezzocannone, un’aria vagamente british ha richiamato la nostra attenzione. In un piccolo gazebo, adombrato da alberi e panchine, una band musicale dal look anni Sessanta suonava le canzoni dei Beatles. Il locale era il Kesté e la band The Beat Flowers (il loro $ sito$ ). L’intero repertorio era dei Beatles, e noi, schierati in prima fila, ci siamo dati a quel concerto improvvisato e del tutto imprevisto. Ma chi non conosce le canzoni dei Beatles? Non potevamo non fermarci. Ci siamo scatenati, abbiamo ballato e cantato e poi, dopo aver esaurito la nostra conoscenza e le nostre batterie, ci siamo diretti al prossimo stop: Oak. A quanto pare il ritrovo dei napoletani amici, o almeno: in quel vicolo stretto, dove tutti stentavamo a muoverci e a ritagliarci un piccolo spazio, dove tutti si conoscevano e si salutavano con l’affetto che noi nordici non sappiamo, mi sono riconosciuta in Genova. Anche lì tutti si conoscono e andare in un locale significa salutare e incontrare volti inattesi. Anche Napoli mi è sembrata così, ma più affettuosa, più calorosa. Napulé... tu sai ca nun si sulo.
-1 FUORI GIOCO
Il secondo giorno, a meno uno dal verdetto, lo abbiamo dedicato all’altro elemento simbolo della città, il mare. Anche se, a seguire le parole della mia guida, andare ammare a Napoli non è per niente facile. La mamma della mia guida, per l’occasione, ci ha svegliato con due sorprese (dimostrando che la cucina napoletana, quella vera, la si mangia accasa): sfogliatelle per colazione, riccia e frolla, e, signore e signori, casatiello fatto in casa per pranzo (al sacco). Ovviamente ‘leggero’. Non avevo idea di cosa fosse, ma ormai la mia fiducia era cieca, non avevo neanche bisogno di chiedere. Siamo saliti in macchina, direzione Marechiaro. Con la macchina, in effetti, non si poteva scendere e di lì ho ritrovato un’altra somiglianza con Genova. Per arrivare ammare, bisogna camminare, non c’è storia. Siamo scesi, e scesi, neanche troppo, ma non era finita. Abbiamo preso anche una piccola barchetta, con remi e comandante, che ci ha portato su uno scoglione altrimenti non raggiungibile. Solo a quel punto siamo arrivati. Solo a quel punto mi sono mangiata il casatiello. La fiducia era ben riposta.
Il bagno, per fortuna, l’ho fatto prima. Lo scoglio su cui ci siamo messi si chiama Acque minerali, poco dopo il vero e proprio Scoglione, altro punto mare. Da lì abbiam potuto vedere tutto l’orizzonte e così le isole, Procida, Ischia, persino Capri e, ovviamente, il Vesuvio. Il primo bagno dell'anno è stato napoletano, tra parole crociate e taralli.
La sera, l'ultima, l'abbiamo dedicata a un'altra zona di Napoli, i Quartieri Spagnoli. Un tempo tra i quartieri più pericolosi, oggi è una delle anime della città e centro notturno. Siamo arrivati prendendo la cosiddetta Metro dell'Arte, chiamata così per le sue stazioni rivestite, un vero e proprio museo d'arte contemporanea (da provare le stazioni Garibaldi, Università, Toledo). Entrando nei Quartieri ho subito percepito l'atmosfera di vittoria anticipata, o forse l'attesa già sfarzosa di una partita destinata a essere ricordata, se non per la partita in sé, per la festa dei suoi sostenitori. Ovunque bandiere, musica, murales a ricordare la squadra unica, a ricordare Maradona e lo scudetto. Proprio qui si trova anche quello che mi è perso una specie di santuario in onore di Maradona. Sulla parete di un edificio si staglia il suo murale, la figura a grandezza non naturale ma simbolica. La mia guida mi ha raccontato che la finestra su cui il volto di Maradona è dipinto, data la fama del murale, è costretta a stare chiusa e gli inquilini, come escamotage, hanno deciso di legare le due persiane con una cordicina per tenerla aperta quel tanto per lasciare entrare l'aria. Sotto, sciarpe, bandiere, dediche, statue, foto, firme, tutto quello che possa ricordare Maradona e chi l'ha voluto celebrare. Un vero e proprio tempio dedicato a chi ha cambiato il volto e il sentimento di un'intera città.
Lungo queste strade si trova anche una famosissima trattoria, Da Nennella. Non siamo riusciti a prenotare lì (anche perché non si prenota ma ci si mette in lista), ma lo spettacolo che la caratterizza lo abbiamo potuto guardare. A un certo punto della cena, infatti, per la gioia di chi girava per le vie, per la forse o non forse gioia di chi mangiava, i camerieri, improvvisamente, si sono fermati, hanno acceso lo stereo e hanno iniziato lo show. Cantavano a squarciagola, ballavano, urlavano, nel nome di Albachiara e, soprattutto, il coro che in quei giorni ha fatto da colonna sonora alla città: Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta. Il folklore napoletano non può che essere contagioso. Alla fine abbiamo mangiato a La Pignata, sempre in zona, una trattoria a base di pesce e fritture. Per la prima volta ho preso un piatto con un nome che conoscevo, spaghetti ai frutti di mare e, come se ci dovessimo ricordare che qui, oggi, Napoli è campione, e non si può non parlare di calcio, abbiamo incontrato Osvaldo, ex-calciatore della Roma. Lo abbiamo placcato dopo che è uscito dal bagno. Dovevamo assicurarci la classica foto ricordo.
0 - CALCIO D'INIZIO
Napoli vs. Sampdoria. Da una parte la squadra che ha già la vittoria, dall'altra la squadra della mia città (l'altra oltre al Genoa) che sa già che verrà retrocessa. Non era la partita, a dirla tutta, più emozionante, a guardare i punti. Ma, del resto, non era la partita in sé a interessare Napoli. Era tutto ciò che gli ruotava intorno, il significato di quel numero 3 disegnato sulle magliette. Napoli oggi è campione, e lo è per la terza volta. Dopo più di trent'anni. E dopo tre giorni non potevo che aspettarmi, anzi pretendere, che i napoletani festeggiassero a dovere, fuori lo stadio Diego Armando Maradona, e farsi sentire vicini ai loro giocatori. Mi sono comprata, di dovere, la maglietta, a quanto mi hanno detto quella dei tempi in cui c'era Maradona, dove lo sponsor non era l'acqua Lete, ma la Buitoni e non era ancora usanza mettere il nome dietro la schiena. Solo il numero. Dieci. Il suo. Ci siamo addentrati nella folla, tra petardi e cori, carretti e bandiere. Ci siamo messi a cantare, in nome di Napoli, in nome di Maradona, in nome del nostro ultimo giorno, in nome di una città che non mi ha deluso neanche un istante e la cui essenza, una volta salita sul Flixbus, già mi mancava.
Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de’ criature
che saglie chianu chianu e
tu sai ca nun si sulo.
Napule è nu sole amaro
Napule è addore ‘e mare
Napule è ‘na carta sporca
e nisciuno se ne importa e
ognuno aspetta a’ ciorta.
(Pino Daniele)